Il tasto pausa della gravidanza

(Perdonate il meseabbondante di assenza, ma sono prima stato in vacanza in Sicilia, poi ho dovuto fare carte per un lavoro che -forse- avrò, eccetera. Ho un bel po’ di cose su cui mettermi in pari, spero di riuscirci)

Vorreste rimanere giovani per sempre, come Peter Pan? O perlomeno ogni tanto poter cliccare su “pausa” e smettere di invecchiare per un po’, ricominciando quando ve la sentite? Beh, per ora non è esattamente possibile. Ma lo è stato, almeno in principio, quando eravate piccoli. Molto piccoli. Quando eravate degli embrioni.

Si chiama diapausa, ed è un meccanismo con cui alcuni mammiferi possono fermare temporaneamente (per periodi di tempo lunghi, anche fino a 300 giorni!) lo sviluppo di un embrione, e farlo poi ricominciare quando opportuno. Per esempio i caprioli lo fanno per assicurarsi che i cuccioli nascano in primavera, e non a casaccio lungo l’anno. L’embrione rimane lì, senza crescere, sopravvivendo per mesi dormiente, e ricomincia a crescere solo quando è il momento.

La diapausa, normalmente, non accade in tutti i mammiferi, ma solo in alcuni di questi, sparpagliati qua e là nell’albero evolutivo – in particolare in specie che vivono in ambienti dalle condizioni particolarmente avverse o precarie. Da qui la convinzione che si fosse evoluta numerose volte indipendentemente -in altre parole, che l’evoluzione l’abbia riscoperta come comodo metodo per salvare la prole in situazioni di emergenza.

E invece no. A quanto pare tutti i mammiferi sono capaci di entrare, come embrioni, in diapausa -anche se normalmente in natura non sembra accadere. L’hanno dimostrato Grazyna E.Ptak e altri, in una collaborazione tra l’Università di Teramo e l’Accademia delle Scienze di Jastrzebiec in Polonia.

Come l’hanno dimostrato? Semplice, hanno preso una specie (la pecora) in cui la diapausa non accade praticamente mai -peraltro una specie addomesticata, in cui non ha senso che si sia mantenuto il meccanismo- e hanno impiantato un embrione di pecora in una specie in cui la diapausa accade (il topo). Hanno indotto poi nel topo le condizioni in cui questo preme il tasto pausa sull’embrione (in modo un po’ brutale ma efficace: rimuovendo le ovaie -agli animalisti questo non piacerà forse)… e voilà, l’embrione di pecora è andato in diapausa. In parole poverissime, anche l’embrione di pecora ha il tasto “pausa”, solo che normalmente le pecore non lo usano.

Il team italo/polacco spara un po’ alto titolando che la diapausa è conservata sicuramente in tutti i mammiferi, ma di certo dimostra che anche in specie in cui la diapausa non accade apparentemente in natura, c’è comunque tutto il meccanismo pronto ad intervenire, conservato -e quindi è probabile che questo possa accadere, potenzialmente, in tutti i mammiferi. Compresi gli esseri umani. Capire come questo accada, e se si possa indurre negli esseri umani, immagino potrebbe essere una svolta nella gestione delle gravidanze e degli aborti spontanei. O semplicemente potreste programmare la data più comoda per far nascere vostra figlia.

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Ptak, G., Tacconi, E., Czernik, M., Toschi, P., Modlinski, J., & Loi, P. (2012). Embryonic Diapause Is Conserved across Mammals PLoS ONE, 7 (3) DOI: 10.1371/journal.pone.0033027

Lo spazio fa cattivo sangue

Bello fare l’astronauta. Ma sì, spassiamocela a rotolare senza peso, guardare la Terra azzurra fuori dal finestrino, fare le bolle col succo di frutta.

Come tutte le cose divertenti, girellare nello spazio ha le sue conseguenze nefaste. È noto da tempo che soggiornare a gravità zero ha degli effetti negativi sulla salute: quasi tutti sanno, per esempio, gli effetti nefasti della microgravità sulle ossa e i muscoli, motivo per cui gli astronauti (cosmonauti, taikonauti) devono fare parecchia ginnastica in volo.

Oggi aggiungiamo un’altra voce alla cartella clinica degli astronauti. O quanto meno ai topi astronauti.

Angela Maria Rizzo e colleghe infatti hanno trovato che, per i topi, la permanenza nello spazio danneggia i globuli rossi. Le ricercatrici hanno confrontato le analisi del sangue di topi portati sulla ISS (la stazione spaziale internazionale) per più di 100 giorni con quelle di topi identici, ma rimasti sulla Terra. E hanno trovato che i globuli rossi dei topi astronauti hanno vari problemi, tra cui gravi danni da stress ossidativo generato da radicali liberi. Insomma, sono rovinati. Inoltre in generale i globuli rossi sono più fragili, di più, e le piastrine più alte, tutti sintomi del fatto che il tessuto sanguigno è sottoposto a stress. Il motivo non è affatto chiaro, ma potrebbe essere un po’ la microgravità, un po’ i raggi cosmici.

Queste non sono buone notizie per chi un giorno vorrà farsi un anno di viaggio per camminare su Marte. Ma del resto pare che non vogliano neanche farli tornare a casa…

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Rizzo, A., Corsetto, P., Montorfano, G., Milani, S., Zava, S., Tavella, S., Cancedda, R., & Berra, B. (2012). Effects of Long-Term Space Flight on Erythrocytes and Oxidative Stress of Rodents PLoS ONE, 7 (3) DOI: 10.1371/journal.pone.0032361

Timidi o esploratori? Colpa dei recettori.

C’è topo e topo, come sa chiunque abbia visto Ratatouille. Ci sono topi timidi, che preferiscono starsene rintanati a casa propria e topi coraggiosi, che si lanciano a esplorare il mondo. Nonchè topi che decidono di volta in volta se correre rischi. Ma cosa c’è nel cervello che fa la differenza?

Daniela Laricchiuta e colleghe, del Centro Europeo per la Ricerca sul Cervello (CERC)/Fondazione Santa Lucia e del Dipartimento di Psicologia alla Sapienza di Roma, sono andate a cercare proprio questo.

Hanno preso una popolazione di topi e li hanno sottoposti a un semplice test: scegliere se infilarsi in un corridoio nero (ma vuoto), o in uno bianco (ma con del cibo in fondo). Questo li pone davanti a un dilemma: un ambiente rassicurante, ma senza niente, come il corridoio nero (ricordate che ai topolini piace il buio), oppure un ambiente inquietante ma con qualcosa di buono alla fine?

Le ricercatrici hanno poi separato i topi che regolarmente prendevano l’iniziativa di esplorare il corridoio bianco, quelli che regolarmente preferivano il corridoio rassicurante nero, o quelli che facevano un po’ e un po’. Stabilito tramite altri test comportamentali che la differenza non era dovuta semplicemente a quanta fame avevano i diversi topolini, hanno analizzato cosa ci fosse di diverso nel loro sistema nervoso.

Salta fuori che la colpa è di un balletto di neurotrasmettitori. Nei topi esploratori infatti la stimolazione dei recettori CB1 (recettori per gli endocannabinoidi, una classe di neurotrasmettitori) influenza direttamente e fortemente la trasmissione di segnali nervosi mediati da un’altra molecola, il GABA (o se volete acido gamma-amminobutirrico). Nei topi più conservatori invece stimolare i recettori CB1 non alterava affatto la trasmissione dovuta al GABA.

Una volta noto il giochetto le ricercatrici hanno potuto invertire selettivamente il comportamento dei due gruppi più estremi di topi semplicemente dandogli dei farmaci che attivassero o inibissero la staffetta di neurotrasmettitori. Con una molecola i topi timidi sono diventati audaci, e con un’altra i topi audaci si sono intimiditi.

Non solo è meraviglioso vedere come una differenza di carattere si riduca elegantemente a una differenza biochimica, ma mi viene da pensare che una cura per la timidezza patologica potrebbe essere più vicina di quanto sembri.

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Laricchiuta, D., Rossi, S., Musella, A., De Chiara, V., Cutuli, D., Centonze, D., & Petrosini, L. (2012). Differences in Spontaneously Avoiding or Approaching Mice Reflect Differences in CB1-Mediated Signaling of Dorsal Striatal Transmission PLoS ONE, 7 (3) DOI: 10.1371/journal.pone.0033260

 

La tomba del vicino è sempre più verde

Lay her i’ the earth;
And from her fair and unpolluted flesh
May violets spring!

(William Shakespeare, Amleto, Act V, scene 1, line 261.)

Nel film Una cena quasi perfetta una compagnia di ragazzi invita a cena personaggi politicamente discutibili, e dopo averci parlato per capire se si possano redimere o meno, decide di fare del bene all’umanità eliminandoli e seppellendoli in giardino. Per camuffare le sepolture il club di assassini decide di piantarci sopra dei rigogliosi pomodori.

Mettere dei pomodori sopra una sepoltura frettolosa del vostro ultimo omicidio in effetti può attirare l’attenzione più che altro. Forse conviene lasciare tutto com’è.

E invece secondo Marco Caccianiga e colleghe, al dipartimento di biologia e al laboratorio di medicina legale dell’Università di Milano, le piante comunque tradiscono il nostro assassino. Sopra alla sepoltura improvvisata infatti il microambiente cambia -e quindi anche il tipo di piante che ci crescono sopra.

Per capire come, i ricercatori sono andati nel parco del Ticino e hanno sepolto 90 cm sotto terra, all’aperto, non degli esseri umani (so che un po’ ci speravate) ma cinque carcasse di maiali. Inoltre hanno preparato una sepoltura di controllo (dove hanno scavato e poi richiuso, ma senza maiale dentro) e poi hanno seguito la vegetazione nel periodo di un anno, da maggio 2009 a maggio 2010.

Hanno così trovato che effettivamente la vegetazione sopra le sepolture, anche a distanza di un anno, era significativamente diversa da quella del terreno non disturbato. Abbastanza curiosamente però la presenza o meno della salma sotto terra non influenza il discorso: anche la sepoltura vuota presentava più o meno le stesse piante delle sepolture piene -ed era diversa dal terreno indisturbato. Il fattore chiave sembra essere quindi il disturbo e rimescolamento del terreno, più che la decomposizione del cadavere.

La prossima volta che vedete una strana chiazza di piante nel giardino del vostro vicino, quindi, fatevi delle domande: magari ci ha seppellito la nonna. O forse si è solo divertito con una vanga.

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Caccianiga, M., Bottacin, S., & Cattaneo, C. (2012). Vegetation Dynamics as a Tool for Detecting Clandestine Graves. Journal of Forensic Sciences DOI: 10.1111/j.1556-4029.2012.02071.x

In breve

Qualche link veloce ad altri studi apparsi negli ultimi tempi da ricercatori italiani, ma che non stiamo a coprire in dettaglio. Coincidenza vuole che siano tutti romani…

Non solo RNA interference

L’RNA interference è un meccanismo che modula l’espressione genica dopo la trascrizione (cioè, dopo che i geni sono stati “fotocopiati” in RNA e portati nel citoplasma per essere tradotti in proteine) – in particolare, limita l’espressione degradando i RNA. Questo meccanismo è stato usato anche per numerosi studi di genetica. Filippo M. Cernilogar e altri del Dulbecco Telethon Institute a Roma dimostrano che, almeno nel moscerino Drosophila, componenti chiave del sistema di RNA interference funzionano anche a monte, nel nucleo, a livello della trascrizione.

C’è più di un modo di prendere una palla.

Come si fa a prendere una palla? Se non ci sono altre costrizioni particolari, ci sono vari modi: uno può stare fermo aspettando la palla, calcolando dove andrà e lanciandosi all’ultimo momento, oppure seguirla man mano con le mani e il corpo fino a intercettarla. Si potrebbe ipotizzare che però la natura ci abbia dotato di qualche soluzione “generale” per cui tutti alla fine catturiamo le palle più o meno allo stesso modo.

Benedetta Cesqui e altri ricercatori della Fondazione Santa Lucia e dell’Università Tor Vergata hanno invece scoperto che esiste una enorme variabilità individuale nei movimenti che soggetti diversi fanno per prendere una palla, dalla velocità e traiettoria del polso fino alla postura generale del tronco e degli arti. Non solo, queste differenze non sono casuali ma sono costanti da persona a persona, anche a distanza di un anno. Ogni portiere, insomma, ha la sua firma personale.

Come l'acqua si dispone intorno a calcio e magnesio, secondo Bruni et al. (2012)

 

Come cambia l’acqua quando ci sciogli dei sali.

Sciogliere dei sali in acqua cambia la struttura dell’acqua stessa: le molecole d’acqua si riorganizzano intorno agli ioni che formano il sale e li circondano, tenendoli in soluzione. Ma cosa succede esattamente? Sorprendentemente è una cosa ancora poco nota. F.Bruni e altri dell’Università Roma Tre hanno pazientemente osservato, combinando esperimenti di diffrazione di neutroni con simulazioni al calcolatore, come cambia la struttura dell’acqua intorno agli ioni in soluzioni di cloruro di calcio (CaCl2) e cloruro di magnesio (MgCl2).

Calcio e magnesio si comportano differentemente: il magnesio è più piccolo e quindi attira a sè le molecole più strettamente, creando una “simil-molecola” compatta; il calcio invece tiene a sè l’acqua in modo più blando, creando una sorta di cubo distorto e plastico. Abbastanza sorprendentemente, la natura dello ione positivo cambia anche il modo in cui l’acqua si riorganizza intorno allo ione negativo (il cloro, in questo caso): siccome il magnesio tiene l’acqua intorno a sè bella stretta, l’acqua intorno al cloro è meno disponibile e quindi ci sta intorno in modo più “soffice”. Ah, prima che ve lo chiediate: tutto questo non c’entra niente con quella bufala dell’omeopatia.

 

La matematica delle migrazioni umane

Un’equazione per descrivere il comportamento umano: non è cosa facile, ma non per questo non vale la pena provarci. Da molto tempo si cerca di capire, per esempio, se è possibile usare un modello semplice per calcolare i flussi migratori tra città, o i flussi di commercio tra due paesi.

Un modello esiste a partire fin dal 1781 quando il matematico francese Gaspard Monge, da buon newtoniano, inventò un modello che richiama la legge di gravitazione universale ed è infatti noto come “legge di gravità”. Secondo questo modello, la probabilità che delle persone si spostino da una città all’altra, per esempio, è direttamente proporzionale alle popolazioni delle città di partenza, e inversamente proporzionale a una funzione della distanza.

Il modello è giunto fino a noi, con qualche ritocco e generalizzazione, e ha solo un problema: è sbagliato. Per farlo tornare bisogna ritoccare fino a nove parametri: in pratica è solo un modellino ad hoc, incapace di dare previsioni generali. Inoltre non ha una vera giustificazione teorica: si basa su un’analogia vagamente plausibile, e nulla più.

Il mese scorso però i fisici dell’Università di Padova Filippo Simini e Amos Maritan, in collaborazione con il MIT e l’istituto di Fisica di Budapest, hanno finalmente pubblicato su Nature un modello assai più solido.

Il modello è sorprendente perchè la sua dimostrazione prende in considerazione, sia pure in modo molto semplificato, le motivazioni per cui le persone si muovono da un luogo all’altro -ovvero, se per esempio parliamo di pendolari, il numero di lavori disponibili nel luogo di partenza e di arrivo. Ma matematicamente il modello alla fine diventa indipendente da tali motivazioni, e dipende solo dalle popolazioni delle località di partenza e di arrivo: e invece che dalla distanza tra le due, dipende inversamente dalla popolazione totale del circondario, ovvero da quante persone sono nell’area che circonda la località di partenza.

In alto: dati reali di migrazione. Al centro: le previsioni del modello "gravitazionale" classico. In basso: le previsioni del modello di Simini, Maritan e colleghi. Da Simini et al. (2012)

Il modello ottenuto non solo non ha praticamente parametri liberi, e quindi evita l’arbitrarietà del precedente: così com’è predice già molto meglio i flussi migratori all’interno degli Stati Uniti o dell’Europa, dove invece il modello a “legge di gravità” fallisce miseramente.

L’importanza di un simile modello dal punto di vista economico e politico è ovvia. Ma è bellissimo vedere come un comportamento individualmente complesso come la scelta di emigrare o di avere un lavoro lontano da casa possa, su larga scala, essere descritta da un’equazione semplice ed elegante. Ricordatevelo quando vi dicono “la scienza non potrà mai spiegare questo o quello”.

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Simini, F., González, M., Maritan, A., & Barabási, A. (2012). A universal model for mobility and migration patterns Nature DOI: 10.1038/nature10856

Ultimo atto per i neutrini più veloci della luce

Stavolta il lavoro sporco l’ha già fatto l’ottimo Amedeo Balbi dal suo blog Keplero: vi invito quindi a leggere il suo post. In parole povere, un altro team, ICARUS, (che include numerosi italiani) ha misurato indipendentemente la velocità dei neutrini e questi vanno veloci proprio come la luce. A questo punto le speranze che i risultati di OPERA siano corretti sono praticamente zero.

Non che questo sia un risultato particolarmente inatteso, visti i problemi strumentali che erano emersi come possibile spiegazione, e l’assenza di altri fenomeni che sarebbero stati evidenti se i neutrini fossero andati più veloci della luce: in particolare, particelle veramente più veloci della luce dovrebbero generare l’equivalente della radiazione Cherenkov, che a sua volta è un po’ l’equivalente elettromagnetico del “boom” supersonico. Ma nessuna radiazione di questo tipo è stata osservata.

Intanto vi invito anche a leggere un altro post che ho pubblicato sul mio blog personale, ovvero: si può fare divulgazione scientifica senza leggere le fonti primarie di cui si parla (ovvero i paper)? Secondo me no (anche se qui un paio di volte, lo ammetto, ho bluffato usando il solo abstract per articoli ai quali non avevo l’accesso: ma qui parliamo di giornalisti che si affidano solo a interviste e a comunicati stampa, un abstract resta quanto meno sempre una fonte primaria, per quanto povera e parziale).

 

Ai pulcini piace la buona musica

Magari alcuni di voi (come me) saranno stati avvelenati a forza di musica dodecafonica, harsh noise giapponese e altre stramberie, ma diciamoci la verità: alla maggior parte degli esseri umani piace un minimo di melodia. Dove melodia si traduce, in termini un pelo più tecnici, in musiche che seguano accordi consonanti piuttosto che dissonanti.

Ora, cosa sia consonante o meno è un discorso complicato e che dipende anche un poco dalla storia e cultura musicale in cui vi trovate -ma diciamo che è la differenza tra un accordo di chitarra fatto bene e uno sbagliato, che “stona”, per dire. Non voglio entrare dentro al merito della musicologia (materia in cui sono ignorantissimo), e vi rimando quindi a wikipedia e sopratutto a questo breve e illuminante video dove vi suonano intervalli consonanti e dissonanti.

Uno potrebbe domandarsi se questa preferenza sia esclusiva degli esseri umani. Si sa che alcuni animali possono distinguere tra i due tipi di accordo, ma non si sa se abbiano delle preferenze: in almeno un caso (i tamarin, delle simpatiche scimmiette baffute del Sudamerica) sappiamo di no.

Ora, Cinzia Chiandetti e Giorgio Vallortigara, rispettivamente all’Università di Trento e di Trieste, hanno dato una prima risposta a questa domanda. Sembra infatti che i pulcini delle galline abbiano una moderata ma misurabile preferenza per le musiche consonanti rispetto a quelle dissonanti.

L'apparato sperimentale di Chiandetti e Vallortigara

Per capirlo hanno preso i pulcini appena nati, mai esposti a suoni prima, e li hanno messi in mezzo a due altoparlanti, uno che suona una musica consonante, un altro che suona una versione dissonante della stessa melodia. E i pulcini (a seconda della specifica melodia) preferiscono dirigersi verso l’altoparlante che suona la musica consonante, passando lì vicino dal 55 al 75% del tempo.

Come mai? Gli autori fanno l’ipotesi che questo derivi dal fatto che suoni consonanti abbiano uno spettro di frequenze simile a quello dei suoni che si trovano in natura, e quindi i pulcini abbiano una preferenza innata per tali suoni. Lo studio di Chiandetti e Vallortigara è lungi dall’essere conclusivo (quanto conta il timbro dello strumento? cosa succede confrontando molte melodie diverse? mettere insieme due altoparlanti che suonano due musiche diverse contemporaneamente non genera effetti di sovrapposizione tra le musiche, rischiando di falsare il risultato?) però intanto ci dice che anche un pulcino appena nato può avere dei gusti musicali. Se preferite Burzum a Jovanotti, insomma, potrebbe anche essere questione di geni.

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Chiandetti, C., & Vallortigara, G. (2011). Chicks Like Consonant Music Psychological Science, 22 (10), 1270-1273 DOI: 10.1177/0956797611418244

Il vuoto che divide in due la luce, e la materia oscura

Avete mai visto un cristallo birifrangente?

È una cosa capace di dividere la luce in due, sdoppiando l’immagine che vi vedete attraverso. Come fa questo cristallo di calcite:

Un cristallo di calcite birifrangente (da Wikipedia)

Questo perchè? Perchè le onde elettromagnetiche che costituiscono la luce hanno una caratteristica detta polarizzazione. Ovvero, in parole molto povere, le onde luminose oscillano in direzioni diverse. Tale direzione si chiama polarizzazione. Così:

La luce che arriva da una sorgente normale (non polarizzata) vibra lungo angoli diversi anche se va nella stessa direzione (vedete le varie onde inclinate l'una rispetto all'altra). Un filtro polarizzatore seleziona solo le onde che oscillano in una direzione.

Chi si occupa di fotografia per esempio avrà quasi certamente usato un filtro polarizzatore, ovvero un filtro che non fa passare la luce che ha una certa polarizzazione rispetto ad esso. Un materiale birifrangente fa una cosa leggermente diversa: invia onde polarizzate diversamente lungo due direzioni leggermente diverse. In pratica divide il vostro fascio di luce in due.

Birifrangenza: luce polarizzata diversamente è inviata in due direzioni diverse dal cristallo.

Che questo lo facciano alcuni cristalli è noto dal 1669, quando lo scoprì il danese Rasmus Bartholin. Ben più recente -e ben più sorprendente- è la predizione che il semplice spazio vuoto possa essere birifrangente, in presenza di un campo magnetico. Questo effetto venne previsto da Werner Heisenberg (quello del principio di indeterminazione) e da un altro fisico tedesco, Hans Heinrich Euler (niente a che vedere col matematico Eulero!). In pratica, il modo in cui la luce passa nel vuoto è diverso a seconda che sia polarizzata parallelamente o meno rispetto al campo magnetico. Le onde elettromagnetiche parallele al campo saranno rallentate rispetto a quelle perpendicolari, e i due tipi di raggi si propagheranno in direzioni diverse.

A livello pratico, per i campi magnetici che possiamo creare qui da noi, l’effetto è assolutamente minuscolo (come forse avrete notato, mettervi un magnete davanti agli occhi non vi fa vedere doppio!) ma è quello che i fisici dell’esperimento PVLAS, condotto tra Ferrara e Padova e guidato da Guido Zavattini, stanno cercando di osservare da numerosi anni (Nel 2005 sembrava che avessero ottenuto dei risultati, ma ahinoi si trattava di un artefatto sperimentale). Recentemente hanno pubblicato su arXiv il loro ultimo rapporto sullo status dell’esperimento, dove annunciano di aver trovato il miglior limite mai misurato alla potenza di tale effetto -ovvero, non l’hanno osservato, e quindi sanno, data la sensibilità dello strumento, quanto può essere forte al massimo.

Perchè questo è importante? PVLAS è importante non solo per confermare le esotiche proprietà del vuoto quantistico sottoposto a immensi campi magnetici (quali possono esistere in natura per esempio vicino a stelle enormemente magnetiche note -non a caso- come magnetar). La birifrangenza del vuoto è strettamente correlata infatti alla presenza o meno di certi tipi teorici di materia oscura -e uno degli obiettivi di PVLAS è capire se esistono certe particelle di materia oscura come ad esempio gli assioni. L’esistenza di queste particelle renderebbe più forte l’effetto di birifrangenza del vuoto, permettendo di conoscerle indirettamente. Per ora PVLAS ci dice soltanto che tale effetto non è ancora abbastanza forte da essere osservato (il che è già qualcosa, in quanto permette di escludere alcune teorie a favore di altre, per esempio). Ma aspettiamo e vediamo: nel frattempo è bello sapere che la fisica italiana fa ottime cose anche al di fuori di LHC.

Preprint:
Guido Zavattini, Ugo Gastaldi, Ruggero Pengo, Giuseppe Ruoso, Federico Della Valle, Edoardo Milotti. Measuring the magnetic birefringence of vacuum: the PVLAS experiment , arXiv:1201.2309v1 [hep-ex], (Submitted on 11 Jan 2012)

Nuovi virus nelle zanzare (per ora)

I flavivirus (letteralmente “virus gialli”) sono delle brutte bestiole: tra di loro si trovano gli agenti patogeni di malattie come la febbre gialla (che dà il nome alla famiglia) il dengue, l’encefalite da zecche e altri malanni più o meno antipatici.

Caratteristica tipica dei flavivirus è che sono quasi sempre trasmessi attraverso insetti -principalmente pulci e zanzare. E infatti si conoscono numerosi ceppi di flavivirus che si ritrovano regolarmente negli insetti ma che non infettano l’uomo.

Un team dell’IZSLER (Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Lombardia ed Emilia Romagna), con Mattia Calzolari e altri, ha ora identificato sei nuovi flavivirus nelle zanzare di tutta Europa. I virus sono stati ritrovati in Repubblica Ceca, Portogallo, Italia, Spagna e Regno Unito in zanzare di varie specie del genere Aedes -lo stesso della famigerata zanzara tigre.

Ma se non infettano l’uomo, allora di che preoccuparci? Per ora di niente -però si ritiene che i flavivirus che causano malattie, come quello della febbre gialla, si siano effettivamente evoluti da progenitori che vivevano esclusivamente nelle zanzare. In pratica i flavivirus potrebbero imparare, evolvendosi, a saltare dagli insetti agli esseri umani che questi insetti pungono -e, così facendo, causando nuove malattie. Bene tenerli d’occhio, quindi.

Abstract:
Calzolari M, Zé-Zé L, Ruzek D, Vázquez A, Jeffries C, Defilippo F, Costa Osório H, Kilian P, Ruíz S, Fooks AR, Maioli G, Amaro F, Tlusty M, Figuerola J, Medlock JM, Bonilauri P, Alves MJ, Sebesta O, Tenorio A, Vaux AG, Bellini R, Gelbic I, Sánchez-Seco MP, Johnson N, Dottori M., Detection of mosquito-only flaviviruses in Europe. J Gen Virol. 2012 Feb 29. [Epub ahead of print]