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Il tasto pausa della gravidanza

(Perdonate il meseabbondante di assenza, ma sono prima stato in vacanza in Sicilia, poi ho dovuto fare carte per un lavoro che -forse- avrò, eccetera. Ho un bel po’ di cose su cui mettermi in pari, spero di riuscirci)

Vorreste rimanere giovani per sempre, come Peter Pan? O perlomeno ogni tanto poter cliccare su “pausa” e smettere di invecchiare per un po’, ricominciando quando ve la sentite? Beh, per ora non è esattamente possibile. Ma lo è stato, almeno in principio, quando eravate piccoli. Molto piccoli. Quando eravate degli embrioni.

Si chiama diapausa, ed è un meccanismo con cui alcuni mammiferi possono fermare temporaneamente (per periodi di tempo lunghi, anche fino a 300 giorni!) lo sviluppo di un embrione, e farlo poi ricominciare quando opportuno. Per esempio i caprioli lo fanno per assicurarsi che i cuccioli nascano in primavera, e non a casaccio lungo l’anno. L’embrione rimane lì, senza crescere, sopravvivendo per mesi dormiente, e ricomincia a crescere solo quando è il momento.

La diapausa, normalmente, non accade in tutti i mammiferi, ma solo in alcuni di questi, sparpagliati qua e là nell’albero evolutivo – in particolare in specie che vivono in ambienti dalle condizioni particolarmente avverse o precarie. Da qui la convinzione che si fosse evoluta numerose volte indipendentemente -in altre parole, che l’evoluzione l’abbia riscoperta come comodo metodo per salvare la prole in situazioni di emergenza.

E invece no. A quanto pare tutti i mammiferi sono capaci di entrare, come embrioni, in diapausa -anche se normalmente in natura non sembra accadere. L’hanno dimostrato Grazyna E.Ptak e altri, in una collaborazione tra l’Università di Teramo e l’Accademia delle Scienze di Jastrzebiec in Polonia.

Come l’hanno dimostrato? Semplice, hanno preso una specie (la pecora) in cui la diapausa non accade praticamente mai -peraltro una specie addomesticata, in cui non ha senso che si sia mantenuto il meccanismo- e hanno impiantato un embrione di pecora in una specie in cui la diapausa accade (il topo). Hanno indotto poi nel topo le condizioni in cui questo preme il tasto pausa sull’embrione (in modo un po’ brutale ma efficace: rimuovendo le ovaie -agli animalisti questo non piacerà forse)… e voilà, l’embrione di pecora è andato in diapausa. In parole poverissime, anche l’embrione di pecora ha il tasto “pausa”, solo che normalmente le pecore non lo usano.

Il team italo/polacco spara un po’ alto titolando che la diapausa è conservata sicuramente in tutti i mammiferi, ma di certo dimostra che anche in specie in cui la diapausa non accade apparentemente in natura, c’è comunque tutto il meccanismo pronto ad intervenire, conservato -e quindi è probabile che questo possa accadere, potenzialmente, in tutti i mammiferi. Compresi gli esseri umani. Capire come questo accada, e se si possa indurre negli esseri umani, immagino potrebbe essere una svolta nella gestione delle gravidanze e degli aborti spontanei. O semplicemente potreste programmare la data più comoda per far nascere vostra figlia.

ResearchBlogging.org
Ptak, G., Tacconi, E., Czernik, M., Toschi, P., Modlinski, J., & Loi, P. (2012). Embryonic Diapause Is Conserved across Mammals PLoS ONE, 7 (3) DOI: 10.1371/journal.pone.0033027

Lo spazio fa cattivo sangue

Bello fare l’astronauta. Ma sì, spassiamocela a rotolare senza peso, guardare la Terra azzurra fuori dal finestrino, fare le bolle col succo di frutta.

Come tutte le cose divertenti, girellare nello spazio ha le sue conseguenze nefaste. È noto da tempo che soggiornare a gravità zero ha degli effetti negativi sulla salute: quasi tutti sanno, per esempio, gli effetti nefasti della microgravità sulle ossa e i muscoli, motivo per cui gli astronauti (cosmonauti, taikonauti) devono fare parecchia ginnastica in volo.

Oggi aggiungiamo un’altra voce alla cartella clinica degli astronauti. O quanto meno ai topi astronauti.

Angela Maria Rizzo e colleghe infatti hanno trovato che, per i topi, la permanenza nello spazio danneggia i globuli rossi. Le ricercatrici hanno confrontato le analisi del sangue di topi portati sulla ISS (la stazione spaziale internazionale) per più di 100 giorni con quelle di topi identici, ma rimasti sulla Terra. E hanno trovato che i globuli rossi dei topi astronauti hanno vari problemi, tra cui gravi danni da stress ossidativo generato da radicali liberi. Insomma, sono rovinati. Inoltre in generale i globuli rossi sono più fragili, di più, e le piastrine più alte, tutti sintomi del fatto che il tessuto sanguigno è sottoposto a stress. Il motivo non è affatto chiaro, ma potrebbe essere un po’ la microgravità, un po’ i raggi cosmici.

Queste non sono buone notizie per chi un giorno vorrà farsi un anno di viaggio per camminare su Marte. Ma del resto pare che non vogliano neanche farli tornare a casa…

ResearchBlogging.org

Rizzo, A., Corsetto, P., Montorfano, G., Milani, S., Zava, S., Tavella, S., Cancedda, R., & Berra, B. (2012). Effects of Long-Term Space Flight on Erythrocytes and Oxidative Stress of Rodents PLoS ONE, 7 (3) DOI: 10.1371/journal.pone.0032361

Nuovi virus nelle zanzare (per ora)

I flavivirus (letteralmente “virus gialli”) sono delle brutte bestiole: tra di loro si trovano gli agenti patogeni di malattie come la febbre gialla (che dà il nome alla famiglia) il dengue, l’encefalite da zecche e altri malanni più o meno antipatici.

Caratteristica tipica dei flavivirus è che sono quasi sempre trasmessi attraverso insetti -principalmente pulci e zanzare. E infatti si conoscono numerosi ceppi di flavivirus che si ritrovano regolarmente negli insetti ma che non infettano l’uomo.

Un team dell’IZSLER (Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Lombardia ed Emilia Romagna), con Mattia Calzolari e altri, ha ora identificato sei nuovi flavivirus nelle zanzare di tutta Europa. I virus sono stati ritrovati in Repubblica Ceca, Portogallo, Italia, Spagna e Regno Unito in zanzare di varie specie del genere Aedes -lo stesso della famigerata zanzara tigre.

Ma se non infettano l’uomo, allora di che preoccuparci? Per ora di niente -però si ritiene che i flavivirus che causano malattie, come quello della febbre gialla, si siano effettivamente evoluti da progenitori che vivevano esclusivamente nelle zanzare. In pratica i flavivirus potrebbero imparare, evolvendosi, a saltare dagli insetti agli esseri umani che questi insetti pungono -e, così facendo, causando nuove malattie. Bene tenerli d’occhio, quindi.

Abstract:
Calzolari M, Zé-Zé L, Ruzek D, Vázquez A, Jeffries C, Defilippo F, Costa Osório H, Kilian P, Ruíz S, Fooks AR, Maioli G, Amaro F, Tlusty M, Figuerola J, Medlock JM, Bonilauri P, Alves MJ, Sebesta O, Tenorio A, Vaux AG, Bellini R, Gelbic I, Sánchez-Seco MP, Johnson N, Dottori M., Detection of mosquito-only flaviviruses in Europe. J Gen Virol. 2012 Feb 29. [Epub ahead of print]

Spegnere le fiamme (immunitarie) della distrofia muscolare

Come molte malattie genetiche, la distrofia muscolare di Duchenne (DMD) non è una roba semplice. Il danno principale è dovuto alla mancanza di una proteina chiamata distrofina la quale, detto rozzamente, fa da “chiodo” per le cellule dei muscoli, tenendole agganciate alla matrice che le circonda. Se per un difetto genetico la distrofina manca, le cellule muscolari diventano più vulnerabili e permeabili, e in particolare i loro mitocondri (gli organelli che producono energia dentro le nostre cellule, e di cui i muscoli sono comprensibilmente ricchi) scoppiano.

Questo a sua volta dà la stura a una serie di processi molto complessi, alla fine dei quali comunque il risultato è che il muscolo lentamente si disfa e muore. Processi nei quali è coinvolto il sistema immunitario: già, perchè tutte quelle cellule che stanno male e muoiono attirano ahinoi le cellule del sistema immunitario, le quali “credono” che ci sia da combattere qualche cosa che causa tutto il danno, e causano infiammazione. Infiammazione la quale purtroppo non fa che peggiorare la situazione.

Per questo gli antinfiammatori cortisonici sono utilizzati contro la DMD, ma hanno un bel po’ di effetti collaterali. Sarebbe possibile trovare un farmaco più mirato?

Forse, grazie alla ricerca di Luca Madaro e colleghi della Sapienza di Roma, pubblicata recentemente su PLoS One. I ricercatori si sono focalizzati su un’altra proteina, PKCθ, che sembra avere un ruolo sia nel sistema immunitario, sia nel muscolo scheletrico, suggerendo che possa essere l’anello debole di tutta la catena.

Per capirci qualcosa, i ricercatori hanno preso dei topi privi del gene per la distrofina (che quindi sviluppano la distrofia muscolare) e dei topi senza PKCθ (i quali, se vi interessasse, sono apparentemente praticamente sani). Hanno poi incrociato i due e ottenuto dei topi che mancano sia di distrofina, sia di PKCθ.

Sorpresa: i topi a cui mancano entrambe le proteine sono quasi del tutto sani: non completamente, ma stanno molto meglio dei topi a cui manca solo la distrofina, e in particolare i loro muscoli non hanno quasi più processi infiammatori a devastarli. In pratica togliendo PKCθ abbiamo tolto l’anello della catena che porta alla catastrofica cascata di infiammazione.

Questo cosa significa? Che possiamo pensare di agire sulla distrofia muscolare andando a inattivare la PKCθ. La cosa interessante è che, come dicono gli autori dello studio, di farmaci che inattivano PKCθ pare ce ne siano già: forse questo vuol dire che abbiamo già in mano una terapia per la distrofia, a disposizione.

Articolo (open access):
Madaro L, Pelle A, Nicoletti C, Crupi A, Marrocco V, Bossi G, Soddu S, Bouché M., PKC Theta Ablation Improves Healing in a Mouse Model of Muscular Dystrophy. PLoS One. 2012;7(2):e31515. Epub 2012 Feb 14.

La donna che scrive come Leonardo

Ovvero come allo specchio. È qualcosa che ogni tanto capita anche alle persone normali; nel 2004 avevano ipotizzato fosse genetico ma a volte te lo puoi beccare con un incidente.

È anche il caso della paziente riportata da Canzano, Piccardi et al. , dell’Università di Roma, su Neurocase, la quale ha iniziato a scrivere “al contrario” dopo un ictus. E come mai? A giudicare dall’abstract (ahimè non ho accesso all’articolo intero), perchè l’ictus ha danneggiato tutta la rappresentazione di sè della paziente. Ovvero, non riesce più a distinguere destra da sinistra e ha problemi nell’identificare la posizione delle parti del proprio corpo: in pratica scrive al contrario perchè si percepisce al contrario. Oliver Sacks, dove sei?

Abstract:
Canzano L, Piccardi L, Bureca I, Guariglia C. , Mirror writing resulting from an egocentric representation disorder: a case report. Neurocase. 2011 Oct;17(5):447-60.

 

Il primo caso di HIV-2 in Italia

Quanti tipi di HIV esistono? Principalmente due, chiamati -con non molta fantasia- HIV-1 e HIV-2. A loro volta questi si dividono in numerosi sottotipi, ma la cosa interessante di HIV-1 e HIV-2 è che essi sono giunti a infettare l’uomo indipendentemente: HIV-1 si è originato infatti negli scimpanzè, mentre HIV-2 in un altro tipo di scimmia, il cercocebo moro.

Il grosso delle infezioni umane da HIV è dovuta a HIV-1. Finora HIV-2 era confinato quasi solo all’Africa, anche se già nel 1987 si era visto negli Stati Uniti. I flussi migratori dall’Africa però, prevedibilmente, stanno portando HIV-2 anche in Europa.

Era quindi solo questione di tempo: Massimo Ciccozzi et al. , dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma, riportano il primo caso noto di infezione da HIV-2 in un cittadino italiano. Il virus sembra appartenere a un sottotipo simile a quello isolato da un immigrato francese.

Fortunatamente HIV-2 in media è meno virulento di HIV-1 e genera AIDS più lentamente. Sfortunatamente però i test diagnostici per HIV-1 (quelli normalmente usati in Occidente) sono poco affidabili per HIV-2. Sarà bene aggiornarsi.

Abstract:
Ciccozzi M, Babakir-Mina M, Cella E, Bertoli A, Lo Presti A, Maniar JK, Perno CF, Ciotti M. A case of Italian HIV type 2 infection: a genetic analysis. AIDS Res Hum Retroviruses. 2011 Dec;27(12):1333-5. doi: 10.1089/aid.2011.0055.