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Ultimo atto per i neutrini più veloci della luce

Stavolta il lavoro sporco l’ha già fatto l’ottimo Amedeo Balbi dal suo blog Keplero: vi invito quindi a leggere il suo post. In parole povere, un altro team, ICARUS, (che include numerosi italiani) ha misurato indipendentemente la velocità dei neutrini e questi vanno veloci proprio come la luce. A questo punto le speranze che i risultati di OPERA siano corretti sono praticamente zero.

Non che questo sia un risultato particolarmente inatteso, visti i problemi strumentali che erano emersi come possibile spiegazione, e l’assenza di altri fenomeni che sarebbero stati evidenti se i neutrini fossero andati più veloci della luce: in particolare, particelle veramente più veloci della luce dovrebbero generare l’equivalente della radiazione Cherenkov, che a sua volta è un po’ l’equivalente elettromagnetico del “boom” supersonico. Ma nessuna radiazione di questo tipo è stata osservata.

Intanto vi invito anche a leggere un altro post che ho pubblicato sul mio blog personale, ovvero: si può fare divulgazione scientifica senza leggere le fonti primarie di cui si parla (ovvero i paper)? Secondo me no (anche se qui un paio di volte, lo ammetto, ho bluffato usando il solo abstract per articoli ai quali non avevo l’accesso: ma qui parliamo di giornalisti che si affidano solo a interviste e a comunicati stampa, un abstract resta quanto meno sempre una fonte primaria, per quanto povera e parziale).

 

Una classe politica lungimirante

Non una ricerca adesso, ma una citazione dritta dal blog di Amedeo Balbi su Il Post, che la dice lunga sull’acume della classe dirigente italiana, anche in tempi che oggi vengono rimpianti :

Il Ministro dell’istruzione del lontano 1894, Guido Baccelli, sosteneva ad esempio che gli insegnamenti sperimentali dovevano avere «ciò che è strettamente necessario, e non di più; perché vexatio dat intellectum»: frase che fa ancora più impressione quando ci si rende conto che la citazione latina («la sofferenza induce a riflettere») viene dritta dritta dal manuale dell’inquisitore Bernardo Gui. Ancora, Alcide De Gasperi, nel 1946, sosteneva che la scienza, per carità, era importantissima per lo spirito degli italiani, ma che visti gli «stenti e le privazioni» di cui soffriva il popolo, «parrebbe ironia parlargli di cultura e ricerca scientifica». Più meno simultaneamente, Luigi Einaudi – mentre nazioni provate almeno quanto la nostra dalla guerra appena terminata facevano scelte strategiche di ben altro tenore – negò i finanziamenti urgenti per la ricerca giustificando la scelta con «l’enorme vuoto che già si verifica nel bilancio dello Stato»